martedì 29 gennaio 2013

Perché questo libro?

Anita Ledinski, operatrice sociosanitaria (oss) vive a Desenzano e da quasi otto anni trascorre le sue giornate fra le pazienti dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, nel comprensorio mantovano. 
Il racconto di “Passi bianchi e silenziosi” (Editoriale Sometti, 2012) svela  stati d’animo e vicissitudini che giornalmente l’operatrice deve affrontare in questo luogo di malattia e di cura. Nel quotidiano dell’operatrice s’intrecciano le storie e gli incubi delle pazienti. 
Il racconto è scritto dalla giornalista Francesca Gardenato che con Anita è entrata in Opg e ha conosciuto quei corridoi, la sofferenza di molte pazienti e le difficoltà dei colleghi operatori. 
Nel reparto femminile dell’Arcobaleno, la protagonista ha a che fare con ottanta donne, autrici di crimini diversi, causati dalla loro mente malata.

Per una volta i riflettori non sono puntati sui medici, ma sugli operatori sanitari: infermieri e oss. 
Cortile dell'Opg di Castiglione. Foto di Stefano Schirato
Il testo descrive anche il rapporto di fiducia simbiotico che si crea fra chi deve condividere la maggior parte della propria esistenza tra le mura dell’Opg e chi può alleviare la sofferenza. Quello che ne esce è un quadro di assoluta umanità, insieme profondo e lieve, un microcosmo in cui i muri dei pregiudizi vengono abbattuti e la comprensione reciproca diventa l’unico linguaggio possibile.
Con “Passi bianchi e silenziosi” Anita e Francesca offrono quindi una testimonianza che restituisce dignità e un tratto umano a tante persone; un raggio di luce che penetra nelle tenebre di un ambiente per molti versi oscuro, un mondo parallelo che non conosciamo e che istintivamente teniamo a distanza.

È un libro fatto di storie vere, c’è spazio anche per il reportage giornalistico e per la riflessione.
Gli episodi sono tutti ispirati alla vita quotidiana e alla routine di reparto, narrati con uno stile fluido e avvincente, per accostare l’argomento a tutti, con semplicità e chiarezza, senza tecnicismi e false dichiarazioni, perché chiunque potesse conoscere cos’è l’Ospedale psichiatrico giudiziario e cosa significa lavorare e vivere in un Opg.

Anita Ledinski e Francesca Gardenato
Si segnalano le prefazioni degli psichiatri Giovanni Rossi e George Palermo, autore della perizia d'ufficio all'americano “mostro di Milwaukee”, e la postfazione firmata dallo psichiatra Antonino Calogero, già direttore sanitario dell'Opg di Castiglione.

Tengono a precisare le autrici Francesca Gardenato e Anita Ledinski: «Il libro è stato concepito agli inizio del 2011, quando ancora non si pensava alla chiusura o riconversione degli Opg che la legge ha fissato al 31 marzo 2013. Il nostro primo obiettivo era, e rimane, quello di far conoscere cos’è l’Opg a chi di questa realtà o non ha mai sentito parlare o sa ancora troppo poco, perché è un mondo che istintivamente temiamo e preferiamo tenere distante».


domenica 20 gennaio 2013

Il libro


Che cosa significa lavorare in un Ospedale psichiatrico giudiziario, quello che un tempo era chiamato manicomio criminale?
Come si può affrontare il quotidiano e delicato confronto con ottanta donne, colpevoli di crimini atroci, percorse da profondi disagi psichici che le hanno trasfigurate fino a spingerle oltre l’immaginabile e a scagliarsi contro i loro stessi figli o contro i loro affetti?


Anita Ledinski, operatrice sociosanitaria (oss), da quasi otto anni trascorre le sue giornate fra le pazienti dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, nel Mantovano. Con l’aiuto e la penna della giornalista Francesca Gardenato, prova a spiegarci cosa significhi assistere persone malate di mente. 
È un racconto avvincente, che racchiude altre storie: la narrazione presenta varie situazioni di reparto, tutte vissute in prima persona, le sensazioni e le difficoltà personali, ma anche le esperienze e gli stati d’animo di pazienti e colleghi operatori. 
Anita svela tormenti, dubbi, emozioni e vicissitudini che quotidianamente deve affrontare in questo luogo di malattia e di cura. Descrive anche il rapporto di fiducia simbiotico che si crea fra chi deve condividere la maggior parte della propria esistenza tra le mura dell’Opg e chi può alleviare la sofferenza.
Quello che ne esce è un quadro di assoluta umanità, insieme profondo e lieve, un microcosmo in cui i muri dei pregiudizi vengono abbattuti e la comprensione reciproca diventa l’unico linguaggio possibile.
Con “Passi bianchi e silenziosi” Anita e Francesca offrono quindi una testimonianza che restituisce dignità e un tratto umano a tante persone; un raggio di luce che penetra nelle tenebre di un ambiente per molti versi oscuro, un mondo parallelo che non conosciamo e che istintivamente teniamo a distanza.